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L’alluminio torna a brillare: a Londra adesso è «bull market»

L’alluminio torna a brillare: a Londra adesso è «bull market»

Dopo oltre cinque anni gli investitori sono tornati a scommettere sull’alluminio. Al London Metal Exchange il metallo ha superato la soglia psicologica dei 2mila dollari per tonnellata, che era rimasta inviolata da marzo 2013, ed è entrato tecnicamente in una fase di “bull market”: le quotazioni sono salite di oltre il 20% dai minimi dello scorso inverno, quando erano scivolate fino a 1.677 $ per la prima volta dai tempi della recessione globale. Adesso il mercato ha voltato pagina ed è nelle condizioni migliori dal 2008-2009, ha proclamato ieri il ceo di Norsk Hydro, Svein Richard Brandtzaeg, con un ottimismo che riecheggia quello esibito a inizio luglio da un altro big del settore, l’americana Alcoa. «Fuori dalla Cina c’è un deficit di alluminio – ha sintetizzato il manager norvegese – Vediamo i prezzi salire e abbiamo anche premi da record sia sul metallo primario che sui prodotti». Insomma, un quadro ideale per i produttori, che finalmente stanno rialzando la testa dopo anni di crisi in cui hanno dovuto sacrificare numerosi impianti. È soprattutto grazie a questi sacrifici che la situazione è migliorata: Brandtzaeg stima che nel mondo siano state chiuse 4-5 milioni di tonnellate di capacità produttiva di alluminio primario, circa il 10% del totale, e che non più di 1 milione sia riattivabile in tempi rapidi. Anche la Cina ha fatto la sua parte: Alcoa ne è talmente convinta da aver motivato così la revisione al rialzo della sua stima sul deficit globale di alluminio, da 730mila a 930mila tonnellate per il 2014. Secondo Hsbc Pechino avrebbe fermato fonderie per 3,2 milioni di tonnellate di capacità da gennaio dell’anno scorso, a fronte dei 2,8 milioni di tonnellate chiusi nel resto del mondo da novembre 2011. Decifrare quello che accade nel Paese asiatico è tuttavia un compito difficilissimo e le analisi giungono spesso a risultati divergenti, col rischio di compromettere l’affidabilità delle previsioni: in Cina non sono infatti le leggi di mercato a guidare le scelte dei produttori e gli impianti aprono e chiudono a intermittenza, talvolta persino all’insaputa del Governo centrale, che da anni si batte – con scarsi risultati – per ridurre l’eccesso di capacità e contrastare l’inquinamento. L’incognita cinese sembra comunque non disturbare il nuovo approccio rialzista degli investitori, sempre più interessati non solo all’alluminio ma più in generale ai metalli non ferrosi, che stanno regalando grandi soddisfazioni: lo zinco è ai massimi da tre anni e il nickel è in rialzo di oltre il 30% da inizio anno, mentre Bloomberg stima che gli Etp in questo comparto abbiano attirato investimenti netti per 75,7 milioni di $ nel 2014, il miglior risultato dal 2009. Per l’alluminio sembra scomparso dal radar anche il problema delle scorte, ancora enormi, benché nei magazzini Lme stiano calando: da inizio anno si sono ridotte del 10% e sono ai minimi da settembre 2012, ma a 4,94 milioni di tonnellate equivalgono tuttora a un anno di consumi in Nord America. Una quantità analoga di metallo dovrebbe inoltre trovarsi in altri stoccaggi, in parte bloccata come collaterale per finanziamenti. All’Lme la struttura del mercato sta però cambiando: il contango – ossia lo sconto della quotazione a pronti su quella a tre mesi, che in teoria incoraggia l’accumulo di scorte – si è improvvisamente ridotto a poco più di 10 $, contro i 40-50 $ che si erano mantenuti stabilmente tra luglio 2013 e aprile di quest’anno. FONTE: Il Sole 24 Ore

Comunicato stampa


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